Fino a pochi decenni fa, era d’uso dire capoccia per riferirsi al capofamiglia, cioè all’uomo più anziano della casa, quando le famiglie erano composte da nonni, zii, figli, nipoti e pronipoti.
Anche a guida dei nostri nidi, c’è il capoccia; tutt’ora, noi usiamo questo termine sia perché è proverbiale per indicare il capo stormo, sia per ricordare le origini contadine di questi luoghi.
Questo podere era di proprietà della Badia di Buggiano e venne gestito dalla famiglia mezzadrile dei Melosi dal 1717, dopo che il babbo Domenico morì, il figlio Lorenzo diventò il capoccia della famiglia. Lorenzo era intraprendente ed infaticabile: pensate che, oltre a coltivare i campi del podere, faceva anche il vetturino, cioè portava le lettere dagli uffici del comune di Buggiano fino a Firenze e ritorno; Lorenzo non si sposò mai, ma suo fratello Michele sì, continuando a lavorare i campi.
Senza sosta e con grande passione e tenacia, Benedetto, uno dei figli di Michele, riuscì perfino ad acquistare un pezzo di prato nella piazza di Buggiano, proprio sotto ai nostri nidi più antichi. Per la sua famiglia, fu un avvenimento importante, perché era molto difficile che un contadino diventasse proprietario di un terreno.
Quel giorno in cui la comunità di Buggiano accordò il consenso all’acquisto, mi hanno raccontato che, per poco, il genero del fratello della moglie della prozia del bisnonno di mia cugina non precipitò dal nido, dal clamore che i Buggianesi dimostrarono per Benedetto.
Da quel giorno, i Melosi diventarono una famiglia di piccoli imprenditori e i discendenti di Benedetto sono stati anche muratori, panettieri, frantoiani, donzelli comunali, ma non abbandonarono mai il primo amore: il podere.
(testo di Irene Giacomelli)