Abitato per secoli dalla famiglia Gamboni che, di padre in figlio, ha tramandato l’arte del mugnaio, non solo in questo edificio, ma anche in altri di loro proprietà. Come spesso accadeva, anche per i Gamboni, all’attività di macinazione nei mulini, a seconda delle stagioni e della quantità d’acqua che c’era nel torrente Cessana, si alternavano la coltivazione dei campi, l’allevamento dei bachi da seta, la tessitura e il commercio. Ma anche… avvicinatevi, devo cinguettare a bassa voce: siccome i mulini si trovavano fuori dal centro abitato, si prestavano anche a incontri segreti e attività di tipo clandestino e poco trasparente.
E anche Girolamo Gamboni si sposò con una donna di Pescia e fece maritare nel 1698 e 1699 le due figlie con due bei giovinotti di Firenze. E “che male c’è?”, vi chiederete.
Ve lo cinguetto io quel che non torna: a cose normali, come faceva un mugnaio a imparentarsi con dei borghesi fiorentini e invitare allo sposalizio un curato, un proprietario, un avvocato e un caporale e tutti, ma proprio tutti gli abitanti di Buggiano? Non faceva solo il mugnaio Girolamo Gamboni, visto che era anche diventato membro della “Compagnia del Corpus Domini” qui a Buggiano ed è stato sepolto con gli altri fratelli della compagnia.
Aveva altri affari e molto redditizi. Dopo tutto ci sapeva fare, era sveglio e intraprendente, tutto il contrario di Moschina, una goffa rana gracidante verde scuro con lenti da vista spesse come fondi di bottiglia che ha avuto una disavventura proprio qui al molino del Gamboni, anni fa. Poiché non vedeva molto bene, un giorno pensava di aver trovato un nascondiglio geniale: il torchio dell’uva (qui da noi lo chiamiamo strizzo).
Ci è saltata dentro, ha sbirciato dalle fessure delle tavole verticali per riuscire a tenere sott’occhio la situazione di gioco, ma, ad un certo punto, il fattore le ha rovesciato una enorme quantità d’uva sulla testa e ha iniziato a stringere; è riuscita a saltar fuori e per un pelo non è stata strizzata! Ha puzzato di mosto per una settimana intera, povera Moschina.
(testo di Irene Giacomelli)